Gigantomachia: la battaglia per la pace
La Camera dei Giganti è considerata l’epicentro del palazzo, come riferisce Giorgio Vasari, uno dei suoi primi visitatori. Vi è rappresentata la battaglia terribile tra Giove e i Giganti, nati dal sangue del membro evirato di Urano (che poi darà vita a Venere), esseri arcaici che assediano l’Olimpo per vendicare l’antica sconfitta dei Titani.
La sceneggiatura dello scontro è drammatica: il crollo delle montagne che seppelliscono i Giganti è simbolo delle sfide terribili che accompagnano l’ascesa al trono imperiale di Carlo V. Alleato della famiglia Gonzaga, l’Asburgo è alla ricerca di una pacificazione europea, costruita con azioni diplomatiche e diversi viaggi in Italia tra cui i soggiorni a Mantova nel 1530 e nel 1532.
La Camera è il culmine del racconto di Palazzo Te e si connette plausibilmente ai dinamismi e ai “crolli” già rappresentati nelle architetture del Cortile d’Onore dialogando con la Camera di Amore e Psiche: la corte di Federico II Gonzaga partecipa così alla grande avventura di una umanità che, trasformata da Amore e sotto la guida di Carlo V (rappresentato nelle sembianze di Giove), sconfigge i Giganti che la minacciano.
Il volgarizzamento delle Metamorfosi di Niccolò degli Agostini del 1522 permette di spiegare alcuni elementi mitologici centrali della camera estranei al racconto ovidiano: la raffigurazione dei Giganti con sembianze umane e non con piedi di serpi e mille braccia, la presenza di Plutone, delle Furie e soprattutto delle scimmie, nate dal sangue dei Giganti fulminati da Giove (secondo un’errata interpretazione dell’originale ovidiano, da cui dipende Agostini).
“Raccontano che i Giganti, aspirando al regno del cielo, ammassassero dei monti su fino alle stelle. Allora il padre onnipotente scagliò il fulmine e squarciò l’Olimpo e rovesciò il Pelio giù dall’Ossa.
Raccontano che quando quei corpi spaventosi giacquero travolti dalla loro stessa costruzione, la Terra s’inzuppò del molto sangue sparso dai suoi figli, e mentre era ancora caldo rianimò questo sangue, e, perché non sparisse del tutto ogni traccia di quella sua stirpe, ne ricavò esseri dall’aspetto di uomini [le scimmie]. Ma anche questa schiatta fu spregiatrice degli dèi, e assetatissima di strage crudele, e violenta. Si capiva che era nata dal sangue.
Quando Giove, figlio di Saturno, vide questo dalla sua rocca, mandò un gemito e ripensando al mostruoso banchetto di Licàone (…) s’infiammò in cuore d’ira grande e in tutto degna di Giove, e convocò un’assemblea. Tutti vennero senza indugio.”
(Ovidio, Metamorfosi, I, vv.151-167)