Percorso a cura di Guido Rebecchini, con Flavia Barbarini, Federico Bonezzi, Giulia Donina, Federico Giglio, Giulio Pietrobelli, Alessandro Prosperi, Simone Rega, Anna Giulia Schisano, Marta Spinelli.

Palazzo Te è privo di arredi da secoli ma le sue pareti sono piene di rappresentazioni di oggetti simili a quelli immaginati da Giulio Romano per i Gonzaga ai tempi della costruzione dell’edificio. Ponendo l’attenzione su tali raffigurazioni si potrebbe non solo arricchire la nostra conoscenza del palazzo ma anche riflettere sull’uso e le funzioni degli oggetti che lo animavano, sulla cultura materiale di chi lo abitava e sulla varietà degli oggetti d’arte che lo impreziosivano. Immaginare gli oggetti della corte dei Gonzaga significa restituire allo spazio una dimensione multisensoriale in cui musica e suono dell’acqua che scorre si confondono con il tintinnare dei preziosi oggetti in argento e il fruscio delle stoffe, in cui la superficie dei vasi in argento imperlati dalle gocce fredde della condensa fa contrasto con il calore avvolgente della seta e di soffici materassi, e in cui infine il profumo di fiori, l’odore del vino e dell’erba fresca conquistano l’olfatto. Queste e molte altre impressioni si possono ricavare dall’osservazione degli affreschi della Camera di Amore e Psiche, che propongono una vera esperienza immersiva in un mondo di festa e armonia con la natura, ma sono suggerite da ogni sala del Palazzo – basti provare a immaginare il frastuono della Camera dei Giganti, dove il rombo dei tuoni e lo schioccare dei fulmini sovrastano le urla dei Giganti e il boato degli edifici che crollano. Per vivere e scoprire il percorso alla ricerca dell’Arte di Vivere dei Gonzaga a Palazzo Te, si attraversano le stanze del palazzo tra musica, armi, lusso, arte e cultura.

CORTILE D’ONORE

Musica

Nel fregio della facciata interna di Palazzo Te possiamo notare diversi strumenti musicali che, realizzati in stucco a bassorilievo, scandiscono il registro superiore della facciata alternati ad armi e mascheroni. Gli strumenti musicali hanno un ruolo di rilievo nell’economia decorativa del Te; scorrendo con lo sguardo lungo il registro superiore della facciata si riconoscono una viola e una chitarra che annunciano le rappresentazioni musicali a cui ci si poteva aspettare di assistere nel palazzo.

Armi

Giulio Romano indaga con estrema precisione gli accessori della guerra, tra cui elmi, corazze, spade, calzature e scudi, che in alcuni casi disegnava perché fossero realizzati per i Gonzaga dai migliori armaioli del tempo. Gli elmi immaginati da Giulio Romano sono forse l’elemento più visibile e riconoscibile delle preziose armature di lusso tanto amate dei signori del Cinquecento. In totale all’interno di Palazzo Te si contano circa 190 elmi realizzati in stucco e pittura.

Nel fregio che corre lungo le facciate interne del cortile d’onore compaiono almeno 16 elmi diversi: di semplice fattura a calotta, squamato come un pesce, decorato con pennacchi; uno presenta una testa di cigno, un altro una testa di mostro marino, e un altro ancora una testa barbuta con pennacchio e un drago con la bocca spalancata. Ve ne sono poi con una testa di cane, di aquila, di leone e con decorazioni floreali. La varietà era un criterio estetico importantissimo nell’arte del Cinquecento in quanto manifestava la facilità inventiva dell’artista, la ricchezza della corte e l’abilità dei suoi artigiani.

CAMERA DI OVIDIO O DELLE METAMORFOSI

Musica

Il tema della musica è facilmente rintracciabile nelle stanze del palazzo: esso è protagonista nella Camera di Ovidio, in cui la musica è evocata dalla rappresentazione di una moltitudine di strumenti musicali: il centro focale della scena Danza dionisiaca è proprio un flauto; non mancano poi nelle altre scene, come nella Sfida tra Apollo e Pan, o in Menadi e satiro, le rappresentazioni di svariati strumenti a corda e a fiato.

Lusso

Il letto raffigurato nella Camera di Amore e Psiche non è l’unico esempio di arredamento all’antica negli affreschi di Palazzo Te; nella Camera delle Metamorfosi, e più precisamente nel riquadro con l’ebrezza di Dioniso, sono presenti da un lato un tavolo apparecchiato con preziose stoviglie sostenuto da zampe feline, e dall’altro un letto, sopra al quale sta per abbandonarsi la divinità. In questo caso la spalliera è costituita da un’imponente testa di cavallo intagliata: un motivo decorativo tipico dei letti di lusso nell’antica Roma, di cui Giulio Romano doveva aver visto degli esemplari a Roma. Una simile spalliera con teste equine si ritrova anche nell’affresco con il sogno di Ecuba, nella sala di Troia a Palazzo Ducale di circa dieci anni successiva. I mobili preziosi, quali i triclini all’antica, così come gli oggetti in argento, offrivano un metro di giudizio del potere economico e della raffinatezza della famiglia.

CAMERA DELLE IMPRESE

Arte e cultura

Le sale di Palazzo Te sono costellate da curiose e spesso oscure immagini accompagnate da cartigli con criptiche frasi solitamente in latino. Si tratta di “oggetti intellettuali” chiamati imprese che alludevano in modo obliquo ad aspetti della vita di Federico Gonzaga e ne celebravano le virtù. Queste combinazioni di testi e immagini richiedevano agli osservatori uno sforzo interpretativo tale da creare una audience privilegiata capace di intendere i messaggi segreti esposti nel palazzo e di identificarsi nella cerchia più ristretta del signore. In questa camera si possono vedere tutte le imprese di Federico che ritroveremo anche in altre sale del palazzo.

LOGGIA DELLE MUSE

Arte e cultura

La loggia delle Muse è destinata a celebrare l’origine delle arti e la loro fioritura alla corte di Mantova tramite le raffigurazioni di Apollo, dio dell’ispirazione poetica, e di Manto, leggendaria fondatrice della città. La loggia, orientata verso la città, segnava il primo approccio dei visitatori con l’interno di Palazzo Te, e la decorazione annunciava quindi come l’edificio, nella sua concezione complessiva, si proponesse come tempio di tutte le arti.

La lunetta di Apollo è un elogio dell’ispirazione poetica. Al centro, Apollo, dio della musica e della poesia, tiene una penna e una maschera teatrale, mentre ai piedi si vedono un calamaio e un libro che alludono alla letteratura. Il dio, che ha la bocca aperta, è colto nell’atto di cantare o recitare una poesia. Alle sue spalle si staglia Pegaso, il cavallo alato che con un colpo di zoccoli fece sgorgare sul monte Elicona, sacro alle Muse, la fonte Ippocrene. La sorgente, simbolo del poeta che si abbevera alla fonte della Poesia, è qui rappresentata defluire da una siringa (o flauto di Pan), simile a quella che tiene il Ciclope Polifemo nella Camera dei Giganti. Il pittore sembra alludere all’organo ad acqua, di cui esisteva a Mantova un preziosissimo esemplare in alabastro, uno strumento inventato nell’antica Grecia e riproposto in epoca moderna come oggetto capace di destare stupore (è la Natura, attraverso l’acqua, che produce la musica). Pegaso trae verso di sé un ramo con appesa una corona d’alloro, indossata anche da Apollo. Questi elementi alludono alla Gloria della poesia che eterna tanto la persona celebrata nel poema che il poeta stesso. Gli oggetti rappresentati – calamaio, libro, penna, maschera, strumento musicale, corona d’alloro – sono, dunque, simboli della Letteratura, del Teatro e della Musica, cioè in una sola parola, della Poesia.

La lunetta di Manto mostra una figura femminile identificabile come la leggendaria fondatrice di Mantova, distesa ed appoggiata ad una fonte in un ambiente ricco di oggetti. Accanto alla fanciulla sono infatti disposti squadra e compasso, un chiaro riferimento all’architettura, mentre sul primo gradino della scalinata è collocata una sfera armillare. Quest’ultima deve il suo nome alla forma ad armilla, ossia ad anello, dei suoi componenti ed è un antico strumento astronomico con finalità didattiche: è difatti una rappresentazione dei moti della sfera celeste secondo il sistema tolemaico. Nel Cinquecento, questo strumento, simboleggiante l’astronomia, fu molto ricercato da nobili e collezionisti per la sua raffinata complessità. Sul fondo, in una nicchia alle spalle della fanciulla, campeggia la celeberrima statua dell’Apollo del Belvedere, un eloquente rimando alla scultura antica, metro e paragone di eccellenza artistica. In primo piano, la vasca marmorea da cui sgorga l’acqua è l’elemento più insolito della scena. Dalla fonte emerge infatti la testa laureata del poeta Virgilio, un omaggio all’illustre poeta nato a Mantova. Sono quindi la creatività, la poetica e la sapienza di Virgilio a sgorgare dalla vasca e ad alimentare i territori mantovani; una sorgente preziosa da cui può attingere la stessa Manto-Mantova, simboleggiata dalla fanciulla distesa. Il centro del potere dei Gonzaga è quindi eletto, in questa lunetta, a ideale “culla delle arti e delle scienze”.

CAMERA DI AMORE E PSICHE

Lusso

Uno degli elementi più caratteristici e riconoscibili in questa sala è la credenza, una struttura a ripiani destinata ad esporre l’argenteria da tavola durante i banchetti offerti in occasione di cerimonie o di visite di ospiti illustri. La ricchezza della credenza consentiva di misurare lo splendore della corte e lo status del suo possessore. In questo caso si osservano vasi, piatti e brocche in argento che riprendono tipologie antiche elaborate però in modo originale dalla fantasia di Giulio Romano. Accanto a questi si notano poi una saliera con una piramide di sale, prezioso ingrediente della cucina dell’epoca, una brocca a forma di anatra e, sulla destra, uno strano oggetto che potrebbe essere un lussuoso portacoltelli. Altri oggetti in argento con doratura sono in terra, dove sono posati un lussuoso vaso e un grande rinfrescatoio colmo d’acqua con manici a forma di serpente entro cui è tenuta in fresco una fiasca di vino.

Altri vasi, anch’essi in argento, sono raffigurati nelle lunette con le storie di Psiche. In una di queste, Psiche usa un vaso in argento che richiama gli argenti rappresentati nella credenza per contenere l’acqua del fiume infernale dello Stige che la dea Venere le aveva chiesto di raccogliere. Dopo essersi arrampicata su un impervio monte, la giovane deve affrontare i mostri del fiume infernale ma è soccorsa da un’aquila che riempie il vaso per lei. In un’altra scena un vaso argenteo simile è posto al centro della composizione in quanto esso conteneva la bellezza di Proserpina che Venere aveva ordinato a Psiche di portarle dagli Inferi. In queste scene il vaso è letteralmente contenitore di bellezza ed echeggia con le sue forme arrotondate il corpo femminile secondo una metafora ben nota all’epoca di Giulio Romano. Il nesso tra il vaso e la fertilità della natura è inoltre comunicato dalla presenza di numerosi vasi da cui fuoriesce acqua. Essi denotano un clima di abbondanza e creano un paesaggio “fluido”, in cui immaginare un dolce gorgogliare di acque e una deliziosa frescura primaverile. Se ne vedono nella fontana dietro la scena in cui Marte insegue Adone, nei riquadri del soffitto e in mano alla divinità fluviale femminile in primo piano nella scena del banchetto, dove il tema della fertilità è particolarmente evidente.

Sulla destra della credenza, Amore e Psiche sono raffigurati sdraiati su un letto mentre due ninfe versano l’acqua su un prezioso catino e un cagnolino giace su un lembo del lenzuolo sottostante. Ad attirare lo sguardo, è il sontuoso triclinio all’antica intarsiato con fantasie zoomorfe. La spalliera è decorata da figure alate dotate di zampe feline, simili a quelle che sostengono l’intera lettiera.

Armi

In questa camera spiccano due elmi, entrambi riferiti a Marte. Uno si vede nella scena del bagno di Marte e Venere, tra gli attributi militari abbandonati dal dio della guerra al bordo della vasca. L’elmo, in basso sulla sinistra, ha un lungo pennacchio, una tesa circolare e alcuni animali raffigurati a bassorilievo. Potrebbe trattarsi di Pegaso o di un ippogrifo e di un leone. L’altro elmo, sempre riferibile a Marte, si trova sulla stessa parete nella scena in cui il dio è rincorso da Venere e a sua volta rincorre Adone. L’elmo, in questo caso, è indossato da Marte e mostra due animali in bassorilievo, forse un lupo e sicuramente un leone al centro. Molto probabilmente si tratta dello stesso elmo di prima ma visto da un diverso punto di vista. A questo punto possiamo avere un’idea abbastanza precisa dell’elmo nella sua interezza: con pennacchio unico sul retro, una larga tesa circolare e con tre animali a bassorilievo, Pegaso (o un ippogrifo) e un lupo ai lati e un leone al centro. L’elmo è talmente preciso che potrebbe corrispondere a un oggetto effettivamente realizzato.

Musica

Possiamo notare diversi strumenti musicali, e osservando accuratamente le scene, possiamo immaginare le voci degli invitati al banchetto nuziale. Siamo immersi nella scena, e il carattere fortemente auditivo contribuisce a renderci partecipi del racconto. La musica, il gioco, la festa sono d’altronde i temi fondamentali del progetto di Giulio Romano per l’edificio. Dalle dodici vele sovrastanti le lunette del soffitto proviene l’accompagnamento musicale della festa, tra voci, fiati, archi e percussioni. Ventidue puttini alati appaiono in diverse sezioni del soffitto unite però dallo sfondo azzurro del cielo e dal bianco delle nubi, che contribuiscono a dare l’impressione di una corale armonia musicale. Cominciando dalla parete sud, si riconosce un organo a canne con spartito, un coro con un grande corale verde, un flauto e tamburi. Di fronte, sulla parete nord, si distinguono un girotondo danzante, un altro flauto, una viola e un cornetto. Infine, le pareti est e ovest ospitano angioletti che suonano un flauto di Pan, ghironda e triangolo, un cembalo, una lira, dei piatti e infine un liuto. Si noti che il coro della parete sud conta quattro figure, quattro come le voci che usualmente componevano la “frottola”, forma musicale profana di contenuto popolare e scherzoso, meno poetica rispetto al coevo madrigale, nata presso la corte di Mantova e ancora diffusa negli anni ’20 del Cinquecento. Tra gli strumenti musicali, il più bizzarro per noi oggi è certamente la ghironda. Molto celebre ed apprezzata fin dal Medioevo, veniva suonata tramite una piccola tastiera, che azionava le corde sfregate da un disco che veniva fatto ruotare mediante una manovella esterna. È altrettanto interessante seguire la parabola storica dello strumento: originariamente impiegata per accompagnare il canto gregoriano, la ghironda divenne popolare tra menestrelli e mendicanti girovaghi, per poi approdare nelle corti europee.

Arte e cultura

In corrispondenza della scena erotica di Giove e Olimpiade, racchiusa in un esagono allungato, è presente la più famosa impresa del duca mantovano: l’impresa della Salamandra. Si può riconoscere un ramarro, o salamandra, in stucco dorato adagiato su un ramo attorno al quale si legge il motto “Quod huic deest me, torquet”, “Ciò che a lui manca, mi tormenta”. Il significato, puramente amoroso come suggerisce anche la scelta della collocazione in questa sala, ricorre alla credenza che questo rettile non andasse mai in amore. L’allusione appare rivolta alla tormentata vicenda sentimentale di Federico con la gentildonna Isabella Boschetti, sua amante. La salamandra ricorre spesso all’interno delle sale del Palazzo, anche priva di motto, per esempio come decorazione del camino nella sala delle Aquile.

CAMERA DEI VENTI

Arte e cultura

In questa camera è possibile riconoscere in corrispondenza del segno zodiacale della Vergine, sulla parete sinistra accanto all’entrata, l’impresa del Monte Olimpo. Inserita in un rettangolo con l’immagine in stucco color bronzo e ripetuta ben tre volte nella decorazione, è composta dalla raffigurazione del monte Olimpo e da due iscrizioni Fides e Olympos rispettivamente in latino e in greco. Per sciogliere il rebus, bisogna ricordare che nel 1523 l’imperatore Carlo V consegnò questa impresa a Federico per aver difeso Pavia dai Francesi l’anno precedente, e dunque il duca la mantenne come espressione di fedeltà alla corona imperiale.

CAMERA DELLE AQUILE

Armi

In quella che fu la camera da letto di Federico si contano tre elmi: uno con pennacchio a raggera, uno semplice con ricciolo sulla punta e uno più elaborato sulla parete di destra. Quest’ultimo è composto da una complicata struttura di pennacchi disposti sul retro dell’elmo, mentre sopra un putto alato sembra tendere un lungo arco. La superficie dell’elmo presenta delle decorazioni a bassorilievo: sulla celata si nota il muso di un mostro marino mentre sul retro, sulla calotta e nella parte inferiore sono presenti delle piccole scene mitologiche. Gli accessori della guerra, rappresentati in stucco, sono appesi come trofei e suggeriscono che sull’isola del Te Federico Gonzaga poteva riposarsi dalle fatiche della guerra e della politica.

CAMERA DEGLI STUCCHI

Armi

Nell’unica camera completamente lavorata a stucco si contano ben 130 elmi, alcuni dei quali vengono rappresentati oltre il piano della cornice per creare l’illusione che invadano lo spazio lo spettatore. Se ne contano circa 90 nella fascia superiore e 40 in quella inferiore. Molti sono di semplice fattura, mentre alcuni sono più elaborati con testa di leone e altri animali e uno, in particolare, presenta la tipologia con serpente a bocca aperta collocato sulla parte superiore dell’elmo, un motivo che Giulio Romano aveva già dipinto intorno al 1523-24 nella Sala di Costantino in Vaticano. La medesima tipologia di elmo si ritrova anche nella Sala di Troia a Palazzo Ducale.

CAMERA DEGLI IMPERATORI

Armi

   

Qui si trovano ben 18 elmi indossati da figure marziali nelle due scene principali raffiguranti Alessandro Magno che ripone l’Iliade in uno scrigno d’oro e Cesare che ordina di bruciare le lettere di Pompeo. Nonostante la sala presenti forse i due più formidabili conquistatori dell’antichità, la decorazione esprime nel suo complesso un messaggio di pace, idea sottolineata dalla figura di Giulio Cesare che tiene il ramo di ulivo.

Arte e Cultura

 

In questa sala si possono individuare le altre due imprese, le imprese del boschetto e dello zodiaco, realizzate in stucco dorato su un ovale bianco dello stesso materiale. Nella prima, nell’angolo destro, mostra Cupido al centro di due alberi, uno rigoglioso e l’altro secco: si fa riferimento al bivio ideale di fronte al quale Federico è posto a causa del suo amore verso Isabella. Seppur privo di motto, il titolo dell’impresa, Boschetto, ha già in sé un chiaro ed esplicito riferimento all’amante. E infine, nell’angolo adiacente sul lato corto, è evidente l’impresa dello Zodiaco. La terra immobile al centro di un turbinio di stelle, il cui motto appunto evidenzia la stasi: in eodem semper, alludente al fatto che lui resta fermo e saldo sempre nello stesso posto e cioè nel sentimento amoroso verso la bella Boschetti.