[Giulio Romano e il marchese Federico II Gonzaga] se n’andarono fuor della porta di S. Bastiano, lontano un tiro di balestra, dove sua eccellenza aveva un luogo e certe stalle chiamato il T(e) […] E quivi arrivati, disse il marchese che avrebbe voluto, senza guastare la muraglia vecchia, accomodare un poco di luogo da potervi andare ridurvisi al volta a desinare, o a cena per ispasso. (Giorgio Vasari, 1568)

Introduzione

Anticamente situato su un’isola posta al centro del quarto lago di Mantova ora prosciugato, Palazzo Te è uno dei più straordinari esempi di villa rinascimentale suburbana manierista.

L’intero complesso, decorato tra il 1525 e il 1535, fu ideato e realizzato da Giulio Romano (1499 – 1546) per Federico II Gonzaga (1500 – 1540) come luogo destinato all’ozio del principe e ai fastosi ricevimenti. Sin dall’origine il Palazzo si apriva, attraverso ampie logge, su vasti giardini destinati a rendere gradevole il soggiorno nel palazzo pensato su imitazione delle antiche ville romane.

La struttura architettonica delle facciate esterne dell’edificio è caratterizzata dalla lavorazione a bugnato delle superfici murarie e dalla presenza dell’ordine gigante di paraste lisce doriche che ne scandiscono il ritmo. All’interno il palazzo appare organizzato attorno ad un grande cortile quadrato chiuso sui quattro lati da paramenti murari a bugnato liscio scanditi dall’ordine unico di semicolonne doriche che sorreggono una trabeazione classica a metope e triglifi.

Sebbene anche esternamente si conservino tracce di zone affrescate, è soprattutto negli interni che il visitatore può apprezzare la preziosa decorazione ad affresco e i raffinatissimi stucchi che ornano la villa. L’intera decorazione degli ambienti fu realizzata su progetto di Giulio Romano che ideò non solo la struttura architettonica dell’edificio, ma anche gli splendidi cicli decorativi ad affresco, i camini, i soffitti, i pavimenti di tutti gli ambienti, curandone ogni dettaglio, per poi affidarne l’esecuzione a una serie di qualificati collaboratori.

Un’iscrizione nella Camera di Amore e Psiche dichiara apertamente il motivo per cui la villa è stata realizzata: questo è un palazzo per il tempo libero ed il divertimento, per l’onesto ozio del principe. Ospiti illustri vennero qui accolti, come l’imperatore Carlo V, che fece visita nel 1530 e nel 1532, ed il re di Francia Enrico III nel 1574.

Il palazzo, terminato nel 1535, subì un secolo dopo l’occupazione dei lanzichenecchi che misero a sacco la città di Mantova. Sulle pareti affrescate della camera dei Giganti si leggono le loro firme, datate 1631.

Le sale del pianterreno, destinate ad accogliere gli appartamenti di Federico Gonzaga e dei suoi ospiti, conservano ancora oggi quasi integralmente le preziose decorazioni ad affresco e a stucco originali. Veri gioielli dell’arte manierista sono in particolare la Camera di Amore e Psiche e la Camera dei Giganti.

Nelle sale del piano superiore, in origine luoghi di deposito e abitazione della servitù, sono esposte al pubblico collezioni eclettiche, direttamente o indirettamente legate a Mantova: la collezione Gonzaghesca di coni, monete, sigilli, medaglie, pesi e misure; la collezione Mondadori con i dipinti di Federico Zandomeneghi e Armando Spadini.

Il luogo e il nome

Mantova era anticamente circondata da quattro laghi formati dal corso del fiume Mincio. Poco distante dall’isola su cui sorse la città si trovava un’altra isola denominata sin dal medioevo Tejeto (poi abbreviato in Te) collegata con un ponte alle mura meridionali della città. Due sono le ipotesi più attendibili sul significato del termine Tejeto: esso potrebbe derivare da tiglieto, località di tigli, oppure essere collegato a tegia, dal latino attegia, che significa capanna.
L’isola, che possiamo immaginare verdeggiante e tranquilla, divenne ben presto luogo di svago per la famiglia Gonzaga; numerosi sono i documenti che attestano già dalla metà del Quattrocento l’uso di questo contesto naturale.
Agli inizi del 1500 Francesco II Gonzaga, marito di Isabella d’Este, vi fece costruire stalle per gli amati cavalli di razza e anche una casa padronale. Rimangono infatti tracce di un edificio di pregio con pitture murali nei sottotetti dell’attuale palazzo. Un affresco reca la data 1502 e le iniziali del committente.

Funzioni dell’edificio

L’incontro tra Giulio Romano e Federico II Gonzaga e il successivo incarico di costruire Palazzo del Te è suggestivamente descritto da Vasari nelle sue Vite.
Quando Giulio giunge a Mantova nell’ottobre del 1524, il marchese gli fornisce una dimora, lo colma di regali e, donatogli uno dei suoi cavalli favoriti, cavalca con lui fino all’isola del Te. Qui Federico incarica Giulio di ristrutturare le scuderie esistenti per “accomodare un poco di luogo da potervi andare e ridurvisi tal volta a desinare, o a cena per ispasso”. Il proposito dunque appare piuttosto modesto ma, come riferisce Vasari, alla vista del bellissimo modello predisposto da Giulio, il marchese dà incarico, con entusiasmo, di iniziare immediatamente la costruzione del palazzo. La funzione dell’edificio è anche chiaramente espressa in un’iscrizione che si trova nella sala di Psiche.
È un palazzo per il tempo libero e lo svago, per l’onesto ozio del principe, che ritempra le forze nella quiete. Palazzo Te viene utilizzato spesso dalla famiglia Gonzaga come luogo per accogliere e onorare gli ospiti illustri, come dimostrano le visite dell’imperatore Carlo V che soggiorna al Te in due occasioni, nel 1530 e nel 1532, mentre Enrico III re di Francia vi è ricevuto nel 1574.

L’evoluzione architettonica

Antecedentemente alla costruzione di Palazzo Te, l’isola del Tejeto ospitava le scuderie della famiglia Gonzaga. Esse dovevano presentare uno schema con ambienti disposti in maniera quadrangolare. L’inglobamento e il reimpiego di tali strutture nella villa giuliesca è testimoniato dalla presenza di frammenti affrescati nei sottotetti dell’ala nord. Tali pitture, risalenti al 1502, consistono essenzialmente in porzioni di fregi vegetali di chiara ispirazione mantegnesca, figure di puttini ed elementi architettonici dipinti.
La corte quadrata si pone inoltre come una chiara citazione della forma della villa antica, residenza signorile di campagna, essendo l’antico un costante punto di riferimento per Giulio Romano come per altri artisti del Cinquecento.
Il palazzo viene costruito e decorato nell’arco di circa dieci anni (1525 – 1535) e la sua struttura originaria è stata parzialmente modificata nel corso dei secoli. Infatti, tra la fine del 1500 e la prima metà del 1600, vengono realizzati ulteriori corpi di fabbrica, quali: la Grotta, l’Esedra e le Fruttiere. Inoltre, nella seconda metà del 1700 l’architetto veronese Paolo Pozzo opera restauri e rifacimenti che investono tetti, pavimenti e apparato pittorico e interviene cambiando l’assetto della facciata sulle peschiere.
Nonostante tali interventi, l’architettura e l’apparato decorativo di ogni singolo ambiente non cessano mai di incarnare appieno il momento di passaggio dagli splendori rinascimentali alle invenzioni manieriste, delle quali Giulio Romano rimane un protagonista indiscusso.

Giulio Romano: L’artista

Giulio di Piero Pippi Dè Iannuzzi, detto Romano, nasce a Roma nell’ultimo decennio del Quattrocento.
La data di nascita non è certa, l’anno di morte del 1546 lo dice deceduto all’età di 47 anni facendo risalire la nascita intorno al 1499, mentre Vasari la fa cadere nel 1492. Gli studiosi sono del parere di accettare il dato documentario.
Giulio si afferma presto tra i principali collaboratori di Raffaello nelle opere di pittura; inoltre sotto la guida del maestro “seppe benissimo tirare in prospettiva, misurare gl’edifizii e lavorar piante”, come attesta Vasari. Il suo genio creativo si alimenta moltissimo dell’esempio del suo maestro, Raffaello, ma a differenza di altri discepoli che rimangono fedeli al suo stile, guarda anche a Michelangelo, di cui si ritrova molto nella possanza e nel dinamismo delle figure che per mano di Giulio prendono vita nei dipinti e negli stucchi di Palazzo Te.
A Mantova presso i Gonzaga, dove giunge nel 1524, diviene immediato punto di riferimento, prima come eccelso artista e abile coordinatore dei progetti gonzagheschi, poi, dal 1526 anche come Prefetto delle fabbriche. Giulio Romano è attivo su molti fronti, nel principato gonzaghesco e in altri stati.
A Mantova, oltre che nelle fabbriche gonzaghesche (Palazzo Te e Palazzo Ducale), interviene anche sulla città dove segue progetti di carattere urbanistico e vigila sull’edilizia privata.
Importante anche il contributo all’edilizia religiosa: suoi i progetti per la cattedrale di Mantova e per la basilica di San Benedetto al Polirone. Tale è il rilievo che assume presso la corte dei Gonzaga che nel 1526 viene elevato alla dignità di vicario di corte.

Federico II Gonzaga: Il committente

Il committente del palazzo è Federico II Gonzaga (1500-1540), figlio di Francesco II e Isabella d’Este. Federico regge Mantova come marchese dal 1519 al 1530; quell’anno è elevato a duca dall’imperatore Carlo V.
Condottiero di non grande abilità, a parere del Guicciardini, si ritira presto dalle armi per dedicarsi al governo del suo piccolo stato e agli interessi personali, tra i quali spiccano le arti e la collezione di opere antiche. Segue quindi la tradizione familiare che vede nella madre una colta mecenate e collezionista e anche nel padre un attento committente (fa costruire il Palazzo di San Sebastiano, poco lontano dall’isola del Te, e vi colloca i celebri Trionfi del Mantegna).
Con l’aiuto di Baldassarre Castiglione, ambasciatore gonzaghesco a Roma, Federico riesce a far arrivare a Mantova, nel 1524, il migliore degli allievi di Raffaello.
Il Gonzaga trasmette a Giulio Romano il suo sogno, quello di esaltare la vita della corte mantovana grazie al genio di un artista che progetta “non abitazioni di uomini, ma case degli Dei” come ci dice Vasari nelle sue Vite.

La sala del Tiziano

Tiziano è a Mantova per la prima volta nel 1519 per ammirare i capolavori delle collezioni gonzaghesche, ma non instaura rapporti con la corte. Invitato da Federico II Gonzaga a trascorrere le feste di Natale del 1522, giunge a Mantova nel gennaio successivo. Tra il 1523 e il 1540 il pittore effettua una decina di soggiorni a Mantova ed esegue più di venti opere per Federico e la sua corte.
Dopo l’arrivo del Pippi a Mantova nel 1524, Tiziano e Giulio Romano hanno modo di incontrarsi in varie occasioni. Le lettere di Pietro Aretino testimoniano rapporti di amicizia tra i due, durati fino alla morte di Giulio nel 1546.
Nel 1536 Federico commette a Tiziano i ritratti di undici imperatori romani da collocare nel Camerino dei Cesari, nell’appartamento di Troia in Palazzo Ducale.
Il ritratto di Giulio Romano è molto probabilmente abbozzato o eseguito a Mantova proprio tra il 1536 e il 1540, nel corso di uno dei brevi soggiorni di Tiziano in città. Una lettera dell’Aretino a Pietro da Modena, del 14 giugno 1537, che accenna a una imminente visita di Giulio a Venezia, consente anche di ipotizzare che il pittore abbia ritratto l’amico nel proprio studio.
Giulio Romano è effigiato di tre quarti, in una posa destinata a divenire peculiare della ritrattistica ufficiale del Cinquecento. Tiziano fissa sulla tela l’espressione bonaria e arguta di Giulio cogliendone i tratti di signorilità così ben descritti da Vasari: “Fu Giulio di statura nè grande nè piccolo, più presto compresso che leggieri di carne, di pel nero, di bella faccia, con occhio nero et allegro, amorevolissimo, costumato in tutte le sue azioni, parco nel mangiare e vago di vestire e vivere onoratamente”.
La professione di architetto è rivelata dalla planimetria di un edificio riprodotta sul cartiglio che Giulio tiene con la destra e indica con la sinistra. È forse il progetto di un edificio religioso a pianta centrale, mai realizzato, sulla cui destinazione sono state avanzate molte ipotesi. Il magnifico ritratto, giocato su toni di grigio e di nero con sottili variazioni proprie di un grande artista può essere accostato ad altre opere del periodo tra il 1536 e il 1538.