29 novembre | 17.00
Talk ESTETICA SUGLI SCUDI. Proteggere ed esporre, nascondere e mostrare
con Mauro Carbone
Spazio Te

Di che cosa ci parla, oggi, a distanza di quasi 500 anni dalla sua realizzazione, lo scudo da parata progettato da Giulio Romano per il quasi quarantenne Carlo V, re di Spagna e delle sue colonie americane, nonché imperatore del Sacro Romano Impero, il sovrano al quale si deve la celeberrima frase “Sulle mie terre non tramonta mai il Sole”? Ci può parlare, certo, del suo sogno di unificazione politico-religiosa dell’Europa, allora ben vivo, come conferma il titolo con cui l’artefatto è noto: scudo del Plus Ultra o dell’Apoteosi di Carlo V. Ma più direttamente ci parla del capolavoro di un’arte che non disdegnava affatto di misurarsi non solo col mecenatismo e con le più sofisticate tecniche artigianali dell’epoca, ma anche con le esigenze proprie degli oggetti d’uso: ci parla dunque di un modo di concepire e fare arte i cui termini, a ben guardare, risultano per  molti versi simili a quelli che certi artisti del XX secolo e ancor più quelli contemporanei sono tornati a cercare di coniugare, misurandosi con la committenza pubblica e privata nonché con mutazioni sempre più accelerate tanto delle tecnologie quanto dei mercati artistici, ciascuna con le sue opportunità e i suoi condizionamenti.

Più in profondità – nella profondità di quelle che lo storico francese Fernand Braudel chiamava “le strutture del quotidiano” che scandiscono la nostra “vita materiale” – questo scudo ci parla inoltre di certe funzioni che hanno cominciato a intessere i rapporti degli umani con l’ambiente circostante addirittura sin da prima della comparsa dell’homo sapiens. La funzione di proteggere, certo: lo scudo è infatti l’arma di difesa per eccellenza, lo schermo per antonomasia, visto che quest’ultimo termine deriva dal verbo longobardo skirmjan che significa appunto “difendere”, “proteggere combattendo”. Ma anche la funzione di esporre: l’espressione “sugli scudi”, che ho scelto qui come titolo, riecheggia infatti l’usanza gallica di portare in trionfo sopra il suo stesso scudo il condottiero vincitore di una battaglia. Del resto, è appunto una simile “apoteosi” che la composizione raffigurata da Giulio mette in mostra. L’artefatto riveste dunque anche la funzione di mostrare, che, attirando i nostri sguardi su quanto la esercita, li distoglie da altro, facendo quindi tutt’uno con quella di nascondere. In tal senso questo scudo da parata ci racconta preziosi elementi di verità su tutti gli schermi. Ci parla, insomma, anche dei nostri.

Ingresso libero senza prenotazione fino ad esaurimento posti disponibili.